È stata presentata la quarta edizione di Re:Humanism al Pastificio Cerere di Roma. Re:Humanism è un premio indetto dall’associazione che vanta lo stesso nome per selezionare alcune opere d’arte che riescono a coniugare umanesimo e cultura scientifica, facendo particolare attenzione alle Intelligenze Artificiali.
Abbiamo intervistato la fondatrice Daniela Cotimbo.

Siamo alla quarta edizione di Re:Humanism. Il premio sembra crescere di anno in anno…ripensando a ritroso, quali sono state le opere più rappresentative tra vincitori e finalisti? Per quale motivo?
Diventa sempre più difficile per me esprimere una scala di valore. Ogni artista che ha partecipato a Re:humanism ha contribuito in modo unico alla crescita del dibattito su arte e intelligenza artificiale. Guardando indietro, sono certamente fiera di aver potuto ospitare figure come Mario Klingemann, gli Entangled Others o Robertina Šebjanič, pionieristiche nell’ambito.
Con alcuni artisti si sono creati legami di amicizia e collaborazione duratura, come con Carola Bonfili, Lorem o Numero Cromatico. Racconto sempre con entusiasmo i progetti di Irene Fenara o Giang Nguyen.
Di lui forse ho un ricordo particolarmente speciale: vincitore della primissima edizione, artista vietnamita giovanissimo, all’epoca studente a Brera, ci aveva colpito per la profondità della sua riflessione sull’apprendimento automatico. Il suo progetto, The Fall, era una performance – nulla di particolarmente complesso dal punto di vista computazionale – ma dimostrava una conoscenza profonda dei temi e una straordinaria capacità di andare oltre la superficie.
A pensarci bene, ogni opera è diventata lo specchio del momento in cui si trovava l’intelligenza artificiale – e con essa, anche noi.
Il Background di Daniela Cotimbo
Quali sono stati i tuoi studi e perché ti interessa l’incrocio tra arte, digitale, intelligenza artificiale, tecnologia?
Il mio percorso è stato piuttosto tradizionale: ho iniziato studiando pittura all’Accademia di Belle Arti, ma col tempo ho capito che ciò che davvero mi interessava era la curatela. Così mi sono iscritta alla specialistica in Curatore d’arte contemporanea a La Sapienza.
Sono sempre stata affascinata dai media, tanto che la mia tesi in Accademia era dedicata a Second Life e agli artisti che abitavano quel mondo virtuale.
Il vero incontro con la media art, però, è arrivato per vie traverse. È stato grazie alla stimolazione di Alan Advantage, l’azienda che ancora oggi sostiene le attività di Re:humanism, che ho iniziato a riflettere sul rapporto tra arte e intelligenza artificiale. Mi avevano chiesto di pensare a progetti che coinvolgessero gli artisti in questa riflessione.
Re:Humanism in prospettiva futura

Quali sono i progetti curatoriali ai quali vorresti dedicarti in futuro? Hai pensato di espandere ancora di più il format di Re:Humanism?
Il mio desiderio, in prospettiva, è trasformare Re:humanism in qualcosa di permanente. Vorrei uno spazio fisico attivo tutto l’anno. Così, si potrebbero proporre contenuti sempre nuovi, in linea con le urgenze critiche che il progetto porta con sé.
Un altro obiettivo importante è rendere l’iniziativa sempre più internazionale. Lo ritengo un passaggio che ritengo naturale, considerata la dimensione globale dei temi che affrontiamo.
Mi piacerebbe anche approfondire progetti capaci di indagare il potenziale dell’arte di interrompere o scardinare le logiche ricorsive dell’intelligenza artificiale.
E, se possibile, spero di ritagliarmi il tempo per dedicarmi anche a progetti che vadano oltre Re:humanism. Ogni tanto sento il bisogno di tornare al mio “vecchio mondo”.
L’edizione del 2025, il tema Timeline Shift

Quest’anno la tematica è Timeline Shift – letteralmente “spostamento della sequenza temporale” –. Come spiegheresti in maniera semplice questo concetto ai lettori e come si incarna nelle opere selezionate?
Il tempo, così come lo viviamo oggi, non è qualcosa di assoluto. Il tempo è una convenzione culturale, nata con lo sviluppo di una tecnologia specifica: l’orologio. Esistono tanti modi diversi di vivere il tempo, che variano a seconda delle culture, delle identità e della nostra interiorità.
L’intelligenza artificiale, invece, è stata pensata per replicare un solo modello temporale: quello occidentale, lineare. Il passato precede il presente e proietta un futuro. Eppure, il presente, in questo schema, tende a scomparire. L’AI si basa su dati del passato per prevedere un solo possibile futuro.
Cosa significa? Che tutto ciò che è nuovo, imprevisto, divergente viene escluso. Ciò che accade viene ricondotto a ciò che è già accaduto.
Allora viene naturale chiedersi: è davvero questo il mondo che vogliamo? Un mondo prevedibile, ripetitivo, che rafforza stereotipi e concetti distorti? Per qualcuno può essere rassicurante, ma per altri è profondamente limitante, se non pericoloso.
Gli artisti di questa edizione hanno dimostrato che è possibile lavorare con temporalità alternative, uscendo dalla logica ricorsiva su cui si basa l’AI.
Viviamo già immersi in un presente carico di tensioni e conflitti: con Re:humanism invitiamo non solo gli artisti, ma anche il pubblico, a compiere uno shift, un cambiamento radicale. A spostarsi oltre questa “wrong timeline”.
I vincitori e i finalisti della quarta edizione di Re:Humanism

I vincitori sono stati Lo-Def Film Factory, al secondo posto Isabel Merchante e al terzo Minne Atairu. Perchè?
La complessità dei progetti li rendeva meritevoli di questa classificazione.

Cosa ti ha colpito invece degli altri progetti finalisti?
Ogni progetto è unico a suo modo, sia per l’estetica che propone, sia per il pensiero che porta avanti. L’idea di tempo, in questa edizione, attraversa trasversalmente temi diversi e profondi. Si va dal genere alla razza, dalla relazione interspecie al rapporto con la spiritualità, fino all’ecologia e all’economia contemporanea.
Mai come quest’anno credo si sia riusciti a restituire uno spettro così ampio di possibilità, di sguardi e di immaginari.
La Giuria
Chi sono gli esperti che ti hanno supportata nella selezione dei finalisti?
La giuria era composta da Alfredo Adamo, CEO di Frontiere; Lorenzo Balbi, direttore del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna; Alice Bucknell, artista, scrittrice ed educatrice; Claudia Cavalieri, direttrice della Fondazione Pastificio Cerere; Daniela Cotimbo, fondatrice e curatrice di Re:humanism; Niccolò Fano, fondatore e direttore di Matèria Gallery; Anika Meier, scrittrice e curatrice; Paolo Paglia, CEO di APA – Agenzia Pubblicità Affissioni; Federica Patti, curatrice di Romaeuropa Festival; Walter Quattrociocchi professore presso l’Università La Sapienza di Roma, a capo del Center of Data Science and Complexity for Society; Diva Tommei, direttrice per l’Italia di EIT Digital; Joanna Zylinska, professoressa al King’s College di Londra.
APA Prize e Re:Humanism

Il vincitore di APA Prize è stato Franz Rosati. Di che premio si tratta e perché, secondo te, è stato scelto quest’artista?
Il Premio APA è una novità assoluta di questa edizione. È un riconoscimento pensato per un’opera digitale. Sarà destinata non solo al cortile della Fondazione Pastificio Cerere, ma anche agli spazi pubblicitari disseminati nella città di Roma.
Questo tipo di esposizione dell’arte digitale è molto comune nelle grandi metropoli internazionali. Siamo grati ad APA per averci dato l’opportunità di sperimentarlo anche in questo contesto.
Franz Rosati si è aggiudicato il premio. Non solo per la qualità dell’opera, ma anche per l’efficacia in un contesto urbano, in una fruizione “di passaggio”. Il lavoro si presenta infatti come un flusso narrativo aperto di immagini generate, che evocano paesaggi in continua trasformazione.
Visto per le strade della città, diventa una sorta di portale tra mondi diversi. Un’immagine potente di ciò che l’intelligenza artificiale può rappresentare nella nostra percezione del reale.
Re:Humanism e le nuove tecnologie
Quali sono i prossimi concetti che vorresti investigare legati alle nuove tecnologie?

In questo momento sono ancora molto concentrata sull’analisi di come l’intelligenza artificiale influenzi la nostra costruzione della realtà. Assisto con un certo sgomento alla facilità con cui oggi l’AI consente di generare e diffondere scenari profondamente distorti, come nel caso del recente video circolato persino attraverso i canali ufficiali del Presidente degli Stati Uniti.
A quanto pare, chi lo ha realizzato non aveva intenzioni maliziose. Eppure, è proprio questa leggerezza nella produzione e condivisione che trovo inquietante. Forse in altri tempi qualcuno avrebbe reagito con un “What the fuck?”, mentre oggi sembriamo del tutto anestetizzati rispetto a questi contenuti.
Pensiamo, per esempio, al fenomeno del brainrot italiano: uno stile di comunicazione che alimenta la diffusione di contenuti assurdi, surreali o volutamente privi di senso, che però esercitano un’inspiegabile attrazione collettiva.

Tutto questo per dire che oggi l’AI ha il potere di costruire narrazioni che, per molti, finiscono per assumere lo status di realtà. Ed è proprio questo slittamento che mi interessa esplorare.
Lo facciamo anche all’interno della mostra alla Fondazione Pastificio Cerere, attraverso opere come quelle di Silvia Dal Dosso, Franz Rosati o Daniel Shanken, che affrontano, ciascuna a modo proprio, i meccanismi con cui l’intelligenza artificiale modella la nostra percezione del reale.
ChatGPT e la scrittura

Cosa pensi di ChatGPT come supporto della scrittura?
Penso che l’AI possa essere uno strumento molto utile, a patto di considerarlo appunto per quello che è: uno strumento, e non un sostituto delle nostre capacità intellettive. Non lo dico per una questione di principio o di etica, ma perché comporta dei rischi concreti.
Il primo è che tende a restituire risultati basati su ciò che è statisticamente più probabile, e quindi, se non guidata in modo consapevole, rischia di produrre contenuti poco originali o creativamente deboli.
Il secondo è che appiattisce la voce di chi scrive: lo stile personale, il tono, le sfumature rischiano di perdersi.
In sintesi, trovo che l’AI sia molto utile per redigere bandi, post per i social o testi più tecnici e amministrativi, e anche per revisionare i propri scritti più creativi. Ma bisogna sempre mantenere un certo grado di distanza critica e non affidarsi completamente a ciò che propone.
AI generatrici di immagini
Quali sono le AI generatrici di immagini – a partire da prompt – che, a tuo parere, possono supportare la creazione artistica senza alcun danno al lavoro degli artisti stessi?
Questo è un tema complesso, perché oggi molti strumenti di intelligenza artificiale funzionano al meglio quando hanno accesso a grandi quantità di dati. Tuttavia, spesso questi dati non sono liberi da diritti, il che solleva questioni legali ed etiche.
Un esperimento interessante in questo senso è Public Domain 12M. È un dataset open source composto da immagini in pubblico dominio, pensato proprio per l’addestramento di modelli di intelligenza artificiale generativa. L’obiettivo è offrire una base legale sicura e contenuti di alta qualità, senza rischi legati al copyright.
Tra i creatori di questo progetto ci sono anche gli artisti Holly Herndon e Mat Dryhurst, figure di spicco nel dibattito contemporaneo sulle AI. Come si dice, dalla necessità nasce la virtù.
Augmented Intelligence, l’asta con opere create da IA
Cosa pensi della prima asta con opere made by I.A.? Augmented Intelligence di cui abbiamo parlato su Econique.

Nell’articolo su Econique troviamo subito l’immagine di un’opera di Holly Herndon e Mat Dryhurst, insieme a tanti altri nomi importantissimi per la scena contemporanea dell’arte legata all’AI. Questo per dire che si è creata una bufera inutile intorno a questa asta: le opere presenti sono il frutto di riflessioni da parte di artisti più umani che mai, che spesso hanno usato l’AI anche per interrogarsi sulle sue criticità.
In alcuni casi, come quello che abbiamo visto poco fa, hanno addestrato modelli propri che non attingono dai dati di altri creativi.
L’operazione è sicuramente stata pompata per motivi di marketing, ma francamente oggi non fa molta differenza organizzare mostre di sola pittura o di soli artisti che lavorano con l’AI.

Collabora da molti anni con riviste di settore come Artribune, XIBT Contemporary, ArtApp, Insideart ed Espoarte, prediligendo l’arte contemporanea nelle sue molteplici sfaccettature e derive mediali.