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Donato Piccolo: “una nuova direzione del futuro dell’arte”

Econique ha avuto il piacere di intervistare l’artista Donato Piccolo per parlare di arte, tecnologia e il futuro del collezionismo.

L’arte di Donato Piccolo è stata esposta in tutto il mondo, dall’Italia alla Francia, alla Cina dove si è appena conclusa una delle sue ultime mostre.

Il lavoro di Donato Piccolo esplora il rapporto tra arte, scienza e tecnologia. Come hai iniziato a sviluppare questo approccio unico?  

    Forse questo approccio è nato da quando ero piccolo… è emerso da un’intensa curiosità verso i fenomeni naturali e i processi che regolano il mondo. Sono stato sempre affascinato dalla possibilità di comprendere il funzionamento della realtà attraverso discipline apparentemente lontane tra loro, come l’arte e la fisica.

    Ho iniziato a interrogarmi su come questi due ambiti potessero dialogare, trovando nell’arte il linguaggio per rappresentare l’invisibile, ossia ciò che la scienza cerca di spiegare con formule e teorie.

    È stato un percorso di sperimentazione, alimentato dall’interesse per il movimento, per l’energia e le emozioni umane, che ho tradotto in installazioni interattive e opere capaci di stimolare una riflessione sul ruolo della tecnologia nella nostra percezione del mondo, sul ruolo dell’arte che, non solo racconta, ma diventa anche un mezzo per interrogare e interpretare la complessità della vita.

    • Quali sono le tue principali fonti di ispirazione quando crei un’opera? 

    Diciamo che nasce tutto da un’idea stupida, che come tale non avrebbe senso che esista, ma più è stupida e più non ha senso che esista, ma in questa capacità di esistere, nonostante non ce ne sia bisogno, si ravvisa la forza dell’arte, cosa apparentemente inutile ma nello stesso tempo più indispensabile all’uomo. D

    iceva l’artista Alighiero Boetti: “la natura è stupida, ottusa, ma sicuramente è proprio lei ad ispirare l’uomo a superarla”. 

    Con i suoi fenomeni imprevedibili, con il movimento degli elementi e la capacità di evocare emozioni profonde, la natura gioca un ruolo fondamentale. A me interessa capire come l’essere umano percepisce con la natura, se ciò che che lo circonda.

    Infine, l’arte stessa, nella sua storia e nelle sue infinite possibilità, mi stimola continuamente a trovare nuove strade. È dall’intersezione di questi ambiti che nascono le mie opere, in un dialogo costante tra emozione e razionalità, tra caos e ordine.

    • Il coefficiente di un artista è spesso oggetto di dibattito. Come percepisci il tuo coefficiente e in che modo influenza il tuo rapporto con i collezionisti e il mercato?

    Da quando abbiamo creato il coefficiente di valore di un’opera abbiamo trasformato l’opera d’arte in un ‘’prodotto’’ rinnegandone il valore inconscio trascendentale. Da quel momento l’opera, immaginata come creazione divina filtrata dalle mani di un uomo, è diventata materiale, reale e potenzialmente comprensibile e il coefficiente di un artista serve a creare valore sociale non artistico.

    All’arte non arreca nulla di più ma serve al ‘’sistema’’ dell’arte per decifrare dei valori commerciali che, spesso, non corrispondono al valore reale dell’opera.  L’Arte, insomma, non può essere ridotta ad una semplice equazione economica.

    Piuttosto dovremmo chiederci cosa crei valore in un’opera, allora dovremmo confrontarci con i diversi linguaggi e capirne le influenze che creano nel contemporaneo, cosi avremmo una idea reale dell’opera e meno dell’oggetto. Il mio rapporto con i collezionisti è basato principalmente su una condivisione di visioni, idee e passioni che arricchiscono il collezionista di qualcosa in più.

    Mi viene in mente un aneddoto su Picasso, il quale, quando un collezionista nell’acquistare un ‘opera sua gli disse che era molto cara, rispose che era economicissima perché in quell’opera c’era tutta la sua vita di studio e sperimentazioni e domandò al collezionista quanto avrebbe pagato l’esperienza di una vita di una persona?

    • Come definiresti il tuo processo creativo? Parti da un’idea concettuale o da un esperimento pratico?  

    Di solito parto più che da una idea, da un ‘’presentimento’’, da una sensazione, da un’idea vaga, indefinita, di cosa potrebbe nascere. Quasi sempre da questa idea originaria si arriva ad altro, perché è proprio nel processo di formazione dell’opera che questo ‘’presentimento ‘’ diventa un’altra cosa. Vengo trasportato dall’opera che suggerisce il procedere. L’idea diviene meno importante della sua metodologia di sviluppo, deve essere applicata ad una tecnica ed è proprio nella sperimentazione e nella scoperta di una nuova tecnica che si trova qualcosa di interessante.

    Credo che l’artista vero sia quello che scopre un suo linguaggio, un suo modo di presentarsi al mondo, non usa i mezzi e le tecniche esistenti ma ne inventa di nuove, che soddisfino il suo processo di evoluzione nella realizzazione dell’opera. Questo purtroppo con l’avvento del digitale un po’ si perde perché vengono servite app e software già esistenti ed è per questo che suggerisco molte volte ai miei studenti di aprire i software, modificarne i valori, usare le mani, sporcarsi per capire il colore, farsi male per capire il materiale, guardare con la mente e non con gli occhi. 

    • In che modo il tuo lavoro si inserisce nel panorama dell’arte contemporanea? Pensi di rappresentare una nuova direzione per il futuro dell’arte?

    Il mio lavoro si inserisce nel panorama dell’arte contemporanea come un ponte tra discipline diverse, mettendo in dialogo arte, scienza e tecnologia per esplorare il rapporto tra l’uomo e il mondo che lo circonda. In un’epoca dominata da innovazioni tecnologiche e rapide trasformazioni, credo sia fondamentale interrogarsi sul ruolo dell’arte non solo come espressione estetica, ma anche come strumento di riflessione critica e di connessione emotiva. L’arte fin dal passato è stata uno strumento per calcolare la direzione della società più che di se stessa.

    Non so se io rappresenti una nuova direzione per il futuro dell’arte, ma sicuramente cerco di spingere oltre i confini di ciò che è possibile, sperimentando materiali, tecnologie e concetti. Il mio obiettivo non è tanto prefigurare un futuro, quanto invitare le persone a interrogarsi sul presente, sui cambiamenti e sulle dinamiche che influenzano la nostra realtà. Se il mio approccio può contribuire a una visione più ampia e interdisciplinare, allora penso di aver dato il mio contributo al panorama dell’arte contemporanea e alla sua evoluzione.

    ”Rappresentare una nuova direzione del futuro dell’arte” forse sarebbe da parte mia presuntuoso dirlo e nello stesso tempo audace. Molti artisti come me sperimentano linguaggi e cercano nel contemporaneo delle spiegazioni sui comportamenti della natura e degli uomini.

    Non è facile! Pensiamo di essere più intelligenti delle altre specie per il fatto che riusciamo a parlare, costruire ed avere coscienza di noi, ma in realtà abbiamo distrutto l’equilibrio tra noi e la natura. Senza quell’armonia, diventa purtroppo arduo interrogarsi e sperimentare il nuovo futuro dell’arte, ma non impossibile.

    • Che ruolo ha il mercato dell’arte nel supportare artisti che lavorano con tecnologie complesse e innovative?

    Il mercato dell’arte potrebbe svolgere un ruolo decisivo nel supportare artisti che lavorano con tecnologie ma purtroppo è troppo interessato alle quotazioni, al ‘’mercato dell’arte”. Il supporto di cui l’arte ha bisogno non si deve limitare all’acquisto di opere finite, ma sarebbe auspicabile la creazione di un sistema che favorisca anche il processo creativo attraverso mecenatismo, sponsorizzazioni e collaborazioni.

    Il mercato dell’arte dovrebbe avere anche il compito di educare il collezionismo e il pubblico non ghettizzando i linguaggi all’interno di musei. All’estero, nei Paesi Arabi fino al continente asiatico si sta cercando di interagire con artisti che usano mezzi tecnologici, mentre in Italia il mercato dell’arte ancora non è pronto a sostenere queste nuove tecnologie, sia perché i musei non vengono finanziati bene dai comuni e dallo stato, sia perché i critici e curatori che hanno un minimo di potere non sono preparati sull’argomento venendo da un background più classico e concentrandosi spesso e soprattutto sui loro precedenti studi.

    La sinergia tra creatività e sostegno economico si può rintracciare la maggior parte delle volte in alcuni privati o nelle aziende, ma anche in questo caso il linguaggio iniziale perde il suo obbiettivo e, nel creare compromesso, si cade nel banale, nella ‘’funzione spettacolo’’. Prendiamo per esempio tutti quegli artisti che lavorano molto con i privati e con le aziende più che con i musei, alla fine il supportarli diventa solo puro divertimento visivo per promuovere la propria azienda o la propria persona. Le fondazioni forse sono quelle strutture che cercano di spingersi un po’ oltre e alcune volte contribuiscono in modo significativo al panorama culturale esistente, almeno sono, credo, le uniche a porsi degli obbiettivi.

    • Cosa ne pensi del rapporto tra arte e sostenibilità? I tuoi lavori affrontano o riflettono questo tema?

    Non credo che l’arte possa contribuire minimamente al rapporto ambientale, anzi non solo ne è distante ma è anche deleteria per l’ecosistema. Innanzitutto perché fare un’opera d’arte tecnologica che sia un robot o un’opera di digital art, è cosa altamente inquinante, non solo per i materiali usati, immaginiamo resine poliuretaniche, acciaio, bombolette spray, etc…, ma anche per i server usati, i data center, la cui manutenzione ha un costo ambientale pari a quello dei trasporti e dell’energia elettrica. C’è spesso ipocrisia negli artisti che parlano di ambiente, perché l’ambiente con la sua difesa diventa il motivo del loro successo.

    L’ ecosistema è distante dall’arte e lo è sempre stato, l’arte parla dell’uomo e nel bene e nel male lo emula, segue i suoi errori per capirli ma non per correggerne gli effetti ambientali ma quelli mentali.  

    A me non interessa l’ambiente e non sarò io a difenderlo dal processo tecnologico che abbiamo avviato e che è impossibile fermare. Non saremo certo noi a distruggere il pianeta, ma sarà il pianeta stesso a distruggersi da solo senza alcuna azione umana. In questo c’è un nichilismo. Mi vengono in mente le parole del poeta Guido Ceronetti per il quale “il vivere è un’arte che assomiglia più alla lotta che alla danza…’’

    • Qual è stata l’opera d’arte che ti ha dato maggiore soddisfazione o che viene considerato il capolavoro di Donato Piccolo?

    Non è semplice rispondere a questa domanda, è come domandare ad una mamma quale dei suoi  figli preferisca … 

    Pensandoci bene però mi viene in mente Video Machine Mobile aka Crab. Si tratta di un televisore anni 70 dotato di Intelligenza Artificiale il quale cammina con gambe robotiche e riesce a comunicare con il fruitore attraverso dei frammenti di film o immagini in movimento. Questa scultura ha la capacità di integrarsi in un ambiente e molte volte il pubblico ha reazioni diverse, come quella di una persona che cercava di confessarsi al cospetto dell’opera, o quella di un signore di una certa età il quale sputò sull’opera cercando, forse, un atto di ribellione contro la tecnologia preesistente. In tutte e due i casi la scultura ha svolto il suo compito e ha innescato la sua funzione di rivelare l’umanità di chi la circonda.

    Ne sono legato particolarmente non tanto per l’opera in sé ma per la storia che porta con sé. E’ stata esposta inizialmente a Palazzo delle Esposizioni in Roma, nel museo di Yerevan in Armenia , nella FMAV, fondazione moderna arti visive e in molti festival importanti ma soprattutto è stata presa per essere la protagonista , o cooprotagonista, dipende dai punti di vista, di un breve film del regista Giacomo Piperno ed il film parteciperà a diversi festival internazionali. 

    L’idea che una scultura diventi protagonista di un film mi rende felice per l’idea stessa che essa stessa si stia umanizzando o meglio che lo stesso uomo cerchi di umanizzarla in quanto sentita come parte del vivere quotidiano.

    • Quali sono i progetti futuri nel mondo dell’arte per Donato Piccolo? Hai in mente nuove direzioni o sperimentazioni da esplorare?

    Adesso sono reduce da una mostra personale al Museo Nazionale Cinese , Zhejiang Art Museum ad Hangzhou, organizzata dal direttore Yang Jinfei e dalla curatrice Shu Wen Jing. Sono stato in Cina per più di un mese e, nonostante questa esibizione mi abbia tolto molte energie, mi ha anche ricambiato dandomi molti nuovi spunti che con il tempo approfondirò. Vorrei concentrarmi più sull’idea di un mondo onirico nascosto agli occhi e sensibilmente presente, su ciò che possiamo immaginare ma non vedere. Parlo dell’effetto ‘’Noumeno’’, di ciò che possiamo pensare ma non vedere. Questa è un’idea che mi tormenta da anni a cui ora vorrei darle un senso reale tangibile, in pratica vorrei rendere tangibile l’intangibile.

    Il prossimo obbiettivo sarà un’antologica al FMAV, Fondazione Modena Arti Visive a maggio curata dal Direttore Lorenzo Respi. Questa mostra so già che mi prenderà completamente la mente e cercherò di coinvolgere il pubblico nel mio mondo fatto di pensieri e fenomeni, intelligenze artificiali e macchine in movimento ma ci saranno anche occasioni per riflettere sull’importanza dell’uomo rispetto alle tecnologie sovrastanti che, in fondo, ho sempre considerate un mero mezzo e non un fine della mia ricerca.

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