Per approfondire dall’interno i meccanismi del mercato dell’arte e in particolare della curatela e di come si sceglie di investire il proprio tempo, lavoro e denaro su un artista piuttosto che su un altro, abbiamo deciso di intervistare Ivan Quaroni.
Come definiresti lo stato attuale del mercato dell’arte? Quali sono le tendenze principali che stai osservando?
Il mercato è per definizione conservativo, tende, cioè, a confermare i valori consolidati. Nel 2024 l’opera venduta al prezzo più alto è stata una della serie de L’impero delle luci di René Magritte, un quadro del 1954 battuto da Christie’s per oltre 121 milioni di dollari. A seguire un dipinto del 1964 di Ed Ruscha, sempre da Christie’s, a oltre 68 milioni di dollari, una Ninfea di Monet battuta da Sotheby’s a 59 milioni di dollari; Untitled (Elmar) di Basquiat ceduta a 46,5 milioni di dollari da Phillips e, infine, ancora un quadro di René Magritte (L’ami intime, 1958), che ha totalizzato 40,2 milioni.
Considerati questi nomi, direi che la tendenza è rimasta conservativa. Sono tutti artisti dal valore indiscusso. Non vedo una tendenza innovativa nel mercato. Come ha scritto su «Il Giornale» l’amico scrittore e collezionista Piersandro Pallavicini, il mondo dell’arte si orienta sempre di più verso artisti che trattano tematiche come la decolonizzazione, la parità di genere, la salvaguardia di minoranze culturali, insomma tutto il corollario della sensibilità Woke, basta guardare le ultime Biennali di Venezia, a partire da quella curata da Okwui Enwezor nel 2015, fino alla più recente di Adriano Pedrosa. Ironicamente, il mercato continua a premiare artisti europei e americani, spesso acquistati da grandi collezionisti asiatici.
In che modo il ruolo del curatore è cambiato con l’evoluzione del mercato e l’avvento delle tecnologie digitali?
Compito del curatore è “avere cura”. Si dimentica spesso il significato etimologico del termine, che deriva dal latino Curator”, che è colui che custodisce, preserva e organizza una collezione d’arte. Un termine che poi ha indicato estensivamente la persona che organizza eventi o iniziative artistiche.
In questo senso il ruolo del curatore è rimasto immutato. Il mercato non influisce sul ruolo curatoriale. Nel caso dell’avvento delle tecnologie digitali, il curatore deve solo impratichirsi di questioni inerenti strumenti e tipologie di trasmissione e conservazione dei contenuti digitali. Il curatore d’arte digitale deve sapere quali dispositivi devono essere impiegati per permettere la fruizione di quei contenuti.
Il coefficiente degli artisti è un tema spesso discusso. Qual è la tua opinione sulla sua rilevanza nel mercato dell’arte contemporanea?
Il coefficiente è uno strumento utile, ma imperfetto. Permette ai collezionisti di avere un parametro di riferimento del prezzo delle opere di un artista, ma non del loro reale valore. Il valore e il prezzo sono due cose diverse, anche se il mercato tende ad omologarle.
Il valore di un artista è qualcosa che possono riconoscere solo esperti ed appassionati, mentre il prezzo è un indicatore utile agli speculatori, i quali vogliono spesso sapere quale sia appunto il coefficiente di un artista.
L’arte digitale e gli NFT hanno guadagnato popolarità negli ultimi anni. Pensi che rappresentino un’opportunità reale o una moda passeggera?
Io direi che quel che l’arte digitale e gli NFT hanno guadagnato in termini di notorietà negli ultimi anni è stato in parte dissipato da un’industria, quella delle criptovalute, che ha purtroppo mostrato tutti i suoi limiti strutturali e culturali. Aggiungo che nessuno degli artisti digitali è annoverato tra i Blue Chips dell’arte contemporanea.
Anche Beeple non ha poi più fatto i numeri della famosa asta da Christie’s. E sappiamo che si è trattato soprattutto di un’operazione strategica, che nulla ha a che fare con il valore dell’opera. Lo stesso si può dire per Comedians di Maurizio Cattelan. Sono operazioni di marketing, che servono a fare notizia. Un vero collezionista, attento, preparato, non è interessato a questo genere di cose.
Quali sono le qualità fondamentali che rendono un artista interessante per il mercato?
Sono le stesse che descrive Donald Thompson nel libro “Lo squalo da 12 milioni di dollari” quando parla degli artisti di brand.
Un artista è interessante per il mercato quando è rappresentato dalle gallerie giuste, quelle che partecipano alle fiere più importanti (TEFAF di Maastricht, Art Basel, Frieze, Armony Show ecc.), ha partecipato ai più importanti eventi artistici (Biennale di Venezia, Documenta, Manifesta), è acquistato da collezionisti famosi, è esposto in importanti musei come il MoMA o il Guggenheim di New York, la Tate Modern di Londra o il Centre Pompidou di Parigi.
Se poi collabora con griffe di moda come Louis Vuitton o è nelle collezioni dei proprietari di marchi come Prada, Trussardi o Gucci meglio ancora.
Che ruolo hanno oggi le fiere d’arte nel promuovere artisti e collezionisti? Vedi delle criticità in questo modello?
Le fiere e le aste governano il mercato e, in un certo senso, sono in concorrenza tra loro. Il vero lavoro, però, lo fanno i galleristi e i mercanti d’arte, quelli che promuovono gli artisti, organizzano le loro mostre, producono i loro cataloghi e fanno conoscere le loro opere. Le fiere hanno un ruolo fondamentale nel far conoscere questo importante lavoro delle gallerie. Una galleria che non partecipa alle fiere d’arte, di qualsiasi livello siano, ha poche possibilità di sopravvivere.
Questa tendenza è confermata dal moltiplicarsi esponenziale delle fiere d’arte nel mondo e dall’espansionismo di quelle di brand, come Art Basel e Frieze, la prima presente, oltre che a Basilea, a Miami Beach, Parigi e Hong Kong, la seconda, oltre che a Londra, con sedi anche a New York, Los Angeles e Seoul.
Il modello delle fiere di brand è la logica conseguenza del mercato globale. Funziona soprattutto per i grandi nomi dell’arte, ma spesso non ha nulla a che vedere con le logiche spesso territoriali e culturalmente radicate delle produzioni artistiche locali o nazionali.
Come il mercato dell’arte può adattarsi a un pubblico più giovane, spesso meno propenso ad acquistare opere tradizionali?
Il mercato non è mai innovativo. Possono esserlo le persone, certi imprenditori, ma il mercato va dove ci sono i soldi. E i soldi girano su artisti che non svalutano, come Magritte, Monet o Basquiat. Il problema dei giovani collezionisti è che o non sono abbastanza ricchi per potersi comprare opere tradizionali o sono troppo ignoranti da volerne capire il valore. Io sospetto che sia l’ignoranza, più che la mancanza di fondi, a fare la differenza. La tua domanda, però, è un’altra.
Tu vuoi sapere se questi giovani collezionisti possono essere invogliati a comprare un’arte che possano comprendere, fatta da artisti a loro più vicini generazionalmente. La risposta è che è compito loro, cioè di questi sedicenti giovani collezionisti, trovare questi artisti, acquistare le loro opere, sostenerli, insomma svolgere nei loro confronti la funzione di mecenati, come ha fatto Charles Saatchi con gli ex YBA (Young British Artists). Non è compito del mercato trovare i giovani artisti, ma di galleristi, curatori e collezionisti.
C’è una differenza significativa tra il mercato dell’arte in Italia e quello internazionale? Quali sono, secondo te, i punti di forza e di debolezza del mercato italiano?
La differenza è che l’Italia conta ormai pochissimo nello scacchiere internazionale dell’arte. Noi rappresentiamo circa il 2 per cento del mercato globale, dominato da Stati Uniti (42%), Cina (19%), Regno Unito (17%) e Francia (7%), che insieme costituiscono oltre l’85% del valore totale. Almeno questi sono i dati del Rapporto «The Art Market di Art Basel» del 2023.
Non penso sia cambiato molto. Nel primo semestre del 2024 è noto che il fatturato del mercato dell’arte in Italia si è contratto del 28% (sono i dati del report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private) e che le principali case d’asta hanno subito una contrazione a doppia cifra nel giro d’affare con una diminuzione delle offerte dei collezionisti.
Francamente non vedo punti di forza nel mercato italiano, rispetto a quello estero. Non mi risulta, infatti, che ci siano state, a parte l’Art Bonus che però non impatta granché sul mercato, politiche governative a sostegno della filiera artistica in Italia.
Come vedi il futuro delle gallerie tradizionali in un’epoca di crescente digitalizzazione e marketplace online?
Quando compri un’opera da centinaia di migliaia di dollari o addirittura da milioni di dollari, vuoi vederla dal vivo, vuoi osservarla attentamente, recandoti in galleria e parlando col gallerista. Non la compri in un marketplace online perché non hai alcuna garanzia. La digitalizzazione è necessaria, soprattutto per la conservazione della documentazione relativa alle opere e per l’esposizione delle immagini sul sito della galleria.
La vendita, però, è un’altra cosa. Un conto è vendere un multiplo o una stampa, un altro è vendere un’opera unica. Io non comprerei mai un’opera importante online, a meno che non si tratti di una casa d’aste accreditata. Ma anche in quel caso, cercherei di andare prima a vedere l’esposizione d’asta.
Quali consigli daresti a chi vuole investire in arte?
Io consiglio di non seguire il mercato. Se non sei uno speculatore o un trader, non ti serve sapere quali sono i nomi che vanno forte nel mercato. Se il mercato li sta trattando, vuol dire che gli affari sono già stati fatti e a te toccano le briciole.
Io credo che chi vuole investire in arte abbia solo due opzioni. Se ha tempo, inizia a studiare e a interessarsi d’arte. Col tempo imparerà a conoscere e capire quali cose acquistare. Chi non ha tempo deve affidarsi a un esperto, o meglio a un curatore.
Lascerei perdere gli art advisor, professionisti che conoscono il mercato dell’arte, non l’arte o gli artisti. Non li vedi alle mostre dei giovani, non vanno negli studi degli artisti, non leggono i libri di storia dell’arte, non capiscono le ragioni intrinseche di una ricerca artistica, semplicemente perché s’interessando d’altro. Chi conosce davvero l’arte, la frequenta, la vive può intuire cose che poi gli art advisor confermano, quando l’ascesa o il successo di un artista sono già avvenuti.
C’è anche una terza opzione, quella forse più diffusa: chi non ha tempo per studiare o non ha voglia di servirsi di un consulente può imitare quel che fanno i collezionisti famosi, quelli che fanno da trend setter. Però, mi sembra una prospettiva davvero triste.

Esperta di digital marketing, Amelia inizia a lavorare nel settore fintech nel 2014 dopo aver scritto la sua tesi di laurea sulla tecnologia Bitcoin.
Precedentemente è stata un’autrice di diversi magazine crypto all’estero e CMO di Eidoo. Oggi è anche co-founder e direttrice di Econique e della rivista Cryptonomist. E’ stata nominata una delle 30 under 30 secondo Forbes.
Oggi Amelia è anche insegnante di marketing presso Digital Coach e ha pubblicato un libro “NFT: la guida completa’” edito Mondadori. Inoltre è co-founder del progetto NFT chiamati The NFT Magazine, oltre ad aiutare artisti e aziende ad entrare nel settore. Come advisor, Amelia è anche coinvolta in progetti sul metaverso come The Nemesis e OVER.